Io sparo e me la cavo – 2

Cosa si fa se si è orfani, soli al mondo e senza nessuno che ti rivolga la parola da un anno all’altro (e magari c’è anche il suo bravo motivo)?
Ci si licenzia dal lavoro, si racconta qualche balla qua e là per contentare i curiosi e ci si chiude in casa.
Unica compagna sempre più fedele -ed è anche il minimo- resta la bottiglia.
Ah, e una Beretta 98, capitata fra le mani in un momento di noia e regolarmente denunciata, ci mancherebbe altro.
Poi la casa vicina passa di padrone, e i padroni nuovi fanno qualche lavoretto.
Che bello! Finalmente si può piantare qualche grana con i tubi delle caldaie e le fosse biologiche che ci si rifiuta di pagare. Ci sono i tribunali intasati da cause su questioni ben meno importanti: perché mai non dare il proprio contributo a quella che è una vera e propria gloria nazionale criticando, supponendo, vagliando, confrontando e giudicando?
Ma i vicini continuano, con tanti saluti alle critiche, alle supposizioni (per tacere delle supposte), dei vagli, dei confronti e dei giudizi.
Non solo vanno avanti con i lavoretti, ma fanno anche rumore.
Di quei rumori che lacerano timpani e borsa scrotale, proprio.
E cosa si fa se non si sopportano i rumori dei vicini?
Una persona razionale, seria, quadrata e tutta d’un pezzo[*] non ha né dubbi né esitazioni.
Li va a cercare una domenica mattina con la Beretta 98 e gli vuota addosso mezzo caricatore.
Ammazzandoli come cani.

[*] E che pezzo.

Io sparo e me la cavo – 1

Il 27 settembre 2018 in provincia di Lecce qualcuno ha sparato e se l’è cavata.
Il minuscolo Roberto Pappadà (probabile correzione di un dignitosissimo Papadopoulos cui suo nonno fu obbligato all’anagrafe quando c’era LUI con i suoi treni che partivano in orario) doveva avere una vita tetra e ripetitiva, tra sorella da accudire e lavoro che c’era e non c’era.
In un momento di noia, nella ancora assolata ancorché tranquilla località salentina di Cursi ha risolto l’intricato, annoso e angosciante problema di parcheggio che aveva col vicino spedendo fra i più lui e altri due parenti a mezzo pistola di grosso calibro.
Fatti due conti, è verosimile supporre che si sia fermato a tre morti e un ferito solo perché aveva esaurito i proiettili che c’erano nel tamburo.
Non è dato sapere se possedesse un cane: in questo caso il cartello “attenti al cane e al padrone” con sotto il disegnino di una .357 magnum, quello che i pensionati ringhiosi appendono al cancello di casa per far desistere dall’intento chi volesse far loro visita per liberarli da quella cazzo di argenteria inutile e pacchiana ereditata da odiatissimi parenti morti schiantati da decenni, avrebbe senza dubbio avuto ragione di essere.

Da Matteo Salvini, l’onnipresente e onniciarlante ministro dell’interno sovrappeso, divorziato, incapace di laurearsi persino in sedici anni e dal curriculum lavorativo irreperibile, non è venuto neanche un bah.
Forse sta aspettando che le registrazioni delle telecamere di zona spuntate come amanite falloidi da una decina d’anni a questa parte restituiscano l’immagine di qualche ambulante senegalese cui tentare di addossare un qualche ruolo.
Ma anni fa -pardon, mesi fa- avrebbe inondato internet e gazzette cianciando di terroni lerci e fancazzisti che si inculano le figlie e mangiano il sapone, auspicando un lavacro di fuoco da parte del Vesuvio.